31/12/18

Chiamare alla vita


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Leonardo scriveva che una bella immagine è figlia dell’uomo e parente di dio. Forse perché è capace di cambiare gli uomini, di farli pensare. Anche quelli condannati a non pensare mai. In un certo senso, di ricrearli, crearli di nuovo. Farli rinascere. Sempre se sono gli uomini a chiederlo. Se hanno parte attiva. Se pongono domande. Se ascoltano.
L’immagine, una bella immagine, può rendere coscienti, consapevoli. Può spingere a chiedere alle cose, agli uomini, agli avvenimenti, alla realtà. Una bella immagine è viva, ha vita propria. Ancora di più: è capace di chiamare alla vita, di dare la vita. Forse questa è la differenza tra una bella immagine e una brutta immagine. Una differenza come tra la vita e la morte. Una brutta immagine, una immagine superflua, anche se raffinata, mostra ma non chiede. Blocca il lettore, lo spettatore. Lo può stupire, lo può sorprendere, lo può compiacere, ricattare, ma non lo chiama a dare giudizi, pareri, a pensare. Non lo chiama ad avere parte attiva negli avvenimenti, nell’universo. Una brutta immagine non ha bisogno dello spettatore. Si compiace di se stessa. Una brutta immagine è una cosa inanimata in cui il lettore si imbatte. Una brutta immagine può essere solo capace di intrattenere. Una bella immagine ha bisogno dello spettatore. Chiede che lo spettatore la completi, ne sia anch’egli autore. Gli porrà sempre domande, lo aiuterà a cercare risposte. Lo aiuterà a domandare, a chiedere. A domandarsi, a chiedersi. Una bella immagine è un problema. Una bella immagine non dà pace, può aiutare a cercarla. Una bella immagine consuma. Nessuno si appenda una bella immagine in camera da letto. Può uscirne divorato.
(Tano D'Amico, Di cosa sono fatti i ricordi, pag.102. Postcart)
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