Leonardo scriveva che una bella
immagine è figlia dell’uomo e parente di dio. Forse perché è capace di cambiare
gli uomini, di farli pensare. Anche quelli condannati a non pensare mai. In un
certo senso, di ricrearli, crearli di nuovo. Farli rinascere. Sempre se sono
gli uomini a chiederlo. Se hanno parte attiva. Se pongono domande. Se
ascoltano.
L’immagine, una bella immagine,
può rendere coscienti, consapevoli. Può spingere a chiedere alle cose, agli
uomini, agli avvenimenti, alla realtà. Una bella immagine è viva, ha vita
propria. Ancora di più: è capace di chiamare alla vita, di dare la vita. Forse
questa è la differenza tra una bella immagine e una brutta immagine. Una
differenza come tra la vita e la morte. Una brutta immagine, una immagine
superflua, anche se raffinata, mostra ma non chiede. Blocca il lettore, lo
spettatore. Lo può stupire, lo può sorprendere, lo può compiacere, ricattare,
ma non lo chiama a dare giudizi, pareri, a pensare. Non lo chiama ad avere
parte attiva negli avvenimenti, nell’universo. Una brutta immagine non ha
bisogno dello spettatore. Si compiace di se stessa. Una brutta immagine è una
cosa inanimata in cui il lettore si imbatte. Una brutta immagine può essere
solo capace di intrattenere. Una bella immagine ha bisogno dello spettatore.
Chiede che lo spettatore la completi, ne sia anch’egli autore. Gli porrà sempre
domande, lo aiuterà a cercare risposte. Lo aiuterà a domandare, a chiedere. A
domandarsi, a chiedersi. Una bella immagine è un problema. Una bella immagine
non dà pace, può aiutare a cercarla. Una bella immagine consuma. Nessuno si
appenda una bella immagine in camera da letto. Può uscirne divorato.
(Tano D'Amico, Di cosa sono fatti i ricordi, pag.102. Postcart)
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