Un’apertura di serata piuttosto
di circostanza, decisamente poco ispirata; e un’introduzione accademica nella
peggiore delle accezioni possibili (dove l’unica parte accettabile era l’altrui
citazione finale). Poi si spengono i riflettori, “perché solo dal buio si può
avere la luce”… e inizia l’incanto. L’incipit di Monika è un delicato “Buonasera”,
appena sussurrato, come un palpito in punta di piedi. E a me basta solo questo
per spazzar via tutta la formalità dell’inizio serata. Si spalanca un mondo,
con la felicità dell’autrice per essere lì a condividere parte dei suoi viaggi.
Un incontro dedicato a Padre Paolo Dall’Oglio, che Monika ci consiglia subito
di leggere. Lo farò. Immagini e musiche cominciano a diventare un tutt’uno col
racconto. Il sapiente accostamento di parole, suoni e fotografie di devastante
intensità sono il frutto di un gusto superiore, di una raffinatezza nella
scelta che è per me enorme delizia e preziosa lezione a un tempo. Non sento
quasi più la gente intorno a me, che pur gremisce il teatro in ogni ordine di
posto. Il messaggio che scaturisce dall’esperienza di Monika Bulaj è a dir poco
fondamentale. Ci sono luoghi “dove gli Dei si parlano”; sembra impossibile ma è
così. Il dialogo fra diverse culture e religioni non è un miraggio, è una
realtà. L’affresco da lei tracciato ne è dimostrazione. Ed arriva, purtroppo,
anche il momento conclusivo, con elegante sobrietà così com’è iniziato. Il
pubblico veronese applaude senza troppo scomporsi, mentre io continuerei per
minuti, fino a farmi dolere le mani. Alle mie spalle sento addirittura delle
critiche alla Bulaj… Signore che evidentemente si aspettavano un qualche
spettacolo da teatranti, del tutto inconsapevoli di ciò a cui hanno appena
assistito. Riesco a salutare Monika prima di andar via, con la promessa di
rivederci appena possibile ad uno dei suoi futuri workshop. Torno a casa
leggero, ancora una volta arricchito e pieno di emozioni senza nome.
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